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Poesia "O Navio Negreiro" (La nave negriera) di Antônio de Castro Alves
O Navio Negreiro (in italiano La nave negriera) è un'importante poesia di Antônio de Castro Alves, che scrisse nel 1868, cioè tre anni prima di morire. Egli la rivolse ai portoghesi che catturavano e maltrattavano gli africani per poi venderli come manodopera in Brasile, esprimendo il suo disaccordo.
Lui non vide la liberazione degli Africani perché morì nel 1871 a 24 anni. Gli Africani vennero liberati nel 1888 grazie ad una legge emanata dalla principessa Isabella, figlia di Don Pedro II. Oggi Antônio De Castro Alves vienie ricordato dagli Africani come un eroe e sono molto devoti a lui.
Stiamo in pieno mare, folle nello spazio
giocherella il lunare - dorata farfalla;
e dietro ad esso corrono le onde…si stancano
come torba inquieta d’infanti.
Stiamo in pieno mare…Del firmamento
gli astri saltellano come spume d’oro…
Il mare in cambio accende le fosforescenze
- costellazioni di liquido tesoro…
Stiamo in pieno mare…Due infiniti
là si stringono in un abbraccio insano,
azzurri, dorati, placidi, sublimi…
Quali dei due è il cielo? Quale l’oceano?…
Stiamo in pieno mare…Aprendo le vele
al caldo affanno delle vibrazioni marine,
il veliero brigantino corre sulla flora dei mari,
come frusciano le rondini nell’onda…
Da dove vieni? Dove vai? Chi conosce la rotta
delle navi erranti se così grande è lo spazio?
In questo Sahara i corsieri portano la polvere,
galoppano, volano, ma non lasciano traccia.
Ben felice colui che là può a quest’ora
sentire in questo riquadro, la maestà!
Di sotto - il mare in cima - il firmamento…
E nel mare e nel cielo - l’immensità!
Oh! Che dolce armonia mi porta la brezza!
Che musica soave in lontananza risuona!
Mio Dio! Come è sublime un canto ardente
sulle onde che flottano qua e là senza fine!
Uomini di mare! I rudi marinai,
usti dal sole dei quattro mondi!
Creature che la burrasca dondola
nella culla di questi pèlaghi fondi!
Aspetta! Aspetta! Lascia che io beva
questa selvaggia, libera poesia.
Orchestra - è il mare che rugge dalla prora,
e il vento che sibila tra le corde…
………………………………………..
Perché fuggi così barcone leggero?
Perché fuggi dal pavido poeta?
Oh! Come potrei accompagnarti la scia
che semini in mare – folle cometa!
Albatro! Albatro! Aquila d’oceano,
tu che dormi dentro le garze delle nuvole
scrolla le pene, Leviatano dello spazio!
Albatro! Albatro! Dammi queste ali.
II
Che importa al nauta della culla,
di dove è figlio, qual il suo focolare?
Ama la cadenza del verso
che gli insegna il vecchio mare!
Canta! Che la morte è divina!
Scorre il brigantino la bolina
come un veloce golfino.
Presa all’albero di mezzana
la nostalgica bandiera accenna
alle onde che lascia dietro.
Degli Spagnoli le cantilene
dimenanti di languore,
ricordano le fanciulle morene,
le andaluse in fiore!
Dell’Italia il figlio indolente
canta Venezia dormiente
- Terra d’amore e tradizione
o nel grembo del golfo
rammenta i versi del Tasso
insieme alle lave del vulcano!
L’Inglese – marinaio freddo,
che si trovò a nascere in mare
(perché l’Inghilterra è una nave,
che Dio nella Manica ancorò),
aspero intona patrie glorie,
ricordando orgoglioso storie
di Nelson e di Abukir…
Il Francese – predestinato –
canta gli allori del passato
e gli allori del futuro!
I marinai ellenici
che l’onda ionica creò,
pirati belli e mori
del mare che Ulisse attraversò,
uomini che Fidia rintagliava,
vanno cantando nella notte chiara
versi che Omero sospirò…
Nauti di tutte le plaghe
voi sapete trovare nelle onde
la melodia del cielo!…
III
Discendi dallo spazio immenso, o aquila d’oceano!
Discendi ancora…ancora un po’…non può lo sguardo umano
come il tuo gettarsi sul brigantino volante!
Ma che vedo io là…Che quadro d’amarezza!
È un canto funereo!...Che tetre figure!...
Che scena vile e infame…Mio Dio! Mio Dio! Che orrore!
IV
Era un sogno dantesco…il cassero
che dalle lucerne arrossisce il brillo.
Nel sangue si bagna.
Tintinnio di ferri…schioccar di frusta…
Legioni di uomini negri come la notte,
orridi a danzare…
Donne negre, con tette sospese
magre creature, le cui bocche nere
irrora il sangue delle madri:
altre fanciulle, più nude e spaventate,
nel turbinio di spettri vacillate,
in ansia e angoscia vane!
E ride l’orchestra ironica, stridente…
e dalla ronda fantastica un serpente
s’aderge in folli spirali…
Se il vecchio ansima, se a terra scivola
si sentono grida…la frusta crepita.
E volano ancora e ancora…
Presa negli anelli di una sola catena,
stordisce la moltitudine affamata,
e piange e là danza!
Uno di rabbia delira…un altro impazzisce,
un altro, che il martirio ha sfigurato,
cantando, geme e ride!
Nel frattempo il capitano ordina la manovra,
e dopo, fissando il cielo che si spiega
così puro sopra il mare,
dice dal fumo di dense nebbie:
“ Vibrate aspra la frusta, marinai!
Fateli danzare di più!..”
E ride l’orchestra ironica, stridente…
e dalla ronda fantastica un serpente
s’aderge in folli spirali…
Quale un sogno dantesco volano le ombre!...
Grida, dolori, maledizioni, suppliche risuonano!
E Satana ride!...
V
Signore Iddio dei disgraziati!
Ditemi Voi, Signore Iddio!
Se è follia…se è verità
tanto orrore innanzi ai cieli?!...
Il mare, perché non cancella
con la spugna delle tue onde,
del tuo mantello, questa aberrazione?...
Astri! Notti! Tempeste!
Precipitate dalle immensità!
Spazza i mari, tifone!...
Chi sono questi disgraziati
che incontrano in Voi
non più che un riso calmo della turba
che eccita la furia del carnefice?
Chi sono?...Se la stella silenzia,
se l’onda la fretta scorre
come un complice fugace,
innanzi alla notte confusa…
Dimmelo tu, severa Musa,
Musa liberissima, audace!...
Sono i figli del deserto,
dove la terra sposa la luce.
Dove vive in campo aperto
la tribù degli uomini nudi…
Sono i guerrieri audaci
che con le tigri striate
combattono in solitudine.
Ieri semplici, forti, coraggiosi.
Oggi miseri schiavi,
senza luce, senza aria, senza ragione…
Sono donne infelici,
come anche Agar fu infelice.
Che assetate, stremate,
da lontano…ben lontano vengono…
portando con passi tiepidi
figli e monili nelle braccia,
nell’anima – lacrime e fiele…
Come Agar soffrendo tanto
che né il latte del pianto
aveva da dare ad Ismaele.
Là nelle sabbie infinite,
nella regione delle palme,
nacquero bellissimi bambini,
vissero fanciulle gentili…
Passa un giorno la carovana,
mentre la vergine nella capanna
s’adonta nei veli della notte…
…Addio al rifugio del monte!...
…Addio, fonte di palme!...
Addio, amori…addio!...
Dopo, le sabbie estese…
Dopo, l’oceano di polvere.
Dopo, nell’orizzonte immenso,
deserti…solo deserti…
E la fame, la fatica, la sete…
Ah! Quanto infelice chi cede,
e cade per non alzarsi più!…
Vaga per qualche luogo, in catene,
ma lo sciacallo sopra la sabbia
ritrova un corpo che roda.
Ieri la Sierra Leone,
la guerra, la caccia al felino
il sonno dormito qua e là
sotto tende d’amplitudine!
Oggi…la stiva nera, fonda,
infetta, angusta, immonda,
con la peste a macchia di giaguaro…
e il sonno sempre mozzato
dal terrore di una morte
e il tonfo di un corpo in mare…
Ieri piena libertà,
il desiderio di potere…
Oggi…cumulo di malvagità,
né sono liberi di morire…
Presi nella stessa corrente
- ferreo, lugubre serpente –
nelle maglie della schiavitù.
E così beffando la morte,
danza la lugubre coorte
al suono dell’acuta….Irrisione!...
Signore Iddio dei disgraziati!
Ditemi Voi, Signore Iddio,
se io deliro…o se è verità
tanto orrore innanzi al cielo?!...
Il mare, perché non cancella
con la spugna delle tue onde,
del tuo mantello, questa aberrazione?...
Astri! Notti! Tempeste!
Precipitate dalle immensità!
Spazza i mari, tifone!...
VI
Esiste un popolo che presta la bandiera
per coprire tanta infamia e codardia!...
E lascia che si trasformino in questa festa
nel manto impuro di freddo baccante!...
Mio Dio! Mio Dio! Ma che bandiera è questa,
che impudente tripudia dalla vela di gabbia?
Silenzio. Musa…piangi, e piangi tanto
che il padiglione si lava nel tuo pianto!...
Verde oro bandierina della mia terra
che la brezza del Brasile bacia e ondeggia,
stendardo che la luce del sole rinchiude
e le promesse divine di speranza…
tu che, alla libertà durante la guerra
fosti inastata dagli eroi sulla lancia
prima che ti avessero distrutto in battaglia,
quando servivi a un popolo come sudario!...
Atroce fatalità che ingiuria la mente!
Estingui questa volta il brigantino immondo,
il trillo che Colombo aprì nelle onde,
come un iris nel pelago profondo!
Ma l’infamia è troppa!...Dall’eterea plaga
alzatevi eroi del Nuovo Mondo!
Andrada! Getta in aria questa bandiera!
Colombo! Sigilla la porta dei tuoi mari!